The Queen's Gambit e perché è difficile scrivere una bella storia
Ieri ho finito di vedere su Netflix la serie “The
Queen’s Gambit”, tradotto un italiano, “Gambetto di Donna”, dal nome dato ad
una specifica sequenza di mosse di apertura nel gioco degli scacchi. La serie è
un adattamento dell’omonimo capolavoro di Walter Tevis del 1983, il suo penultimo
libro. Ottima serie di cui consiglio la visione a tutti. The Queen’s Gambit ha
personaggi interessanti – soprattutto la protagonista – , gode di una perfetta
ricostruzione storica dell’America degli anni ‘60 e di ottimi attori. Al fine di risultare
appetibile ad un pubblico mainstream è un po’ diversa dal libro, ma in essa non
v’è niente che stoni, niente che possa risultarci scomposto, stonato o incongruente.
La serie è perfetta, come lo è il libro, seppure quest’ultimo si muova su piani
e profondità diverse.
E’ la storia di Beth, una bambina molto introversa
che cresce in un orfanotrofio dopo che un incidente d’auto ha ucciso sua madre
e che scopre, grazie al custode che vive nel sottoscala, la sua straordinaria
abilità nel gioco degli scacchi. La bambina ne impara velocemente i segreti e
visualizza ogni notte, sul soffitto del dormitorio, le migliaia di possibili combinazioni
di mosse di una partita. Diventando così un prodigio vivente, presto
riconosciuto anche a livello internazionale. Ma non è tutto così semplice: la sua
madre adottiva muore giovanissima anche lei, dopo averle dato tutto il supporto
possibile. Così Beth rimane sola, comincia a scoprire il mondo da cui si è estraneata
per anni a causa della sua ossessione per gli scacchi, e si trova a dover fare
i conti con la sua smodata propensione per l’alcool.
Perché un film o una serie o un libro ha successo
ed un altro no? Cosa fa una bella storia, una straordinaria storia che venga
ricordata e che non ci si stanca mai di rivedere? Sono state scritte fiumi di
parole su questo. Il mio maestro di sceneggiatura Elvio Porta – famoso sceneggiatore, autore di Mi Manda Picone e Café
Express, per dirne solo un paio - mi diceva spesso: “Sai perché ci sono
pochi scrittori veramente bravi che sanno fare questo mestiere? Perché è
difficile... “. Sembra una rotonda banalità, ma è assolutamente vero. Scrivere
una storia che accolga ed abbracci il lettore, che lo tenga incollato al libro
o allo schermo, che lo trasporti in un mondo al di fuori della sua realtà per
ore, che gli insegni i segreti della vita e del mondo, è difficilissimo.
Conosco persone che scrivono molto bene, che sanno
esprimere concetti con chiarezza, che sanno descrivere un sentimento o un luogo
facendolo capire o immaginare vividamente al lettore. Ma questo, diceva Elvio,
non vuol dire saper “scrivere”. Per lui saper scrivere voleva dire saper creare
qualcosa che valga la pena di essere letto o visto, che agganci il lettore, che
lo faccia emozionare e sognare. Su Netflix ci sono centinaia di film, ma quelli
belli sono pochi. Perché? Perchè non sono riusciti a toccare le “corde” emotive
del pubblico.
Si dice nell’ambiente cinematografico che un
regista può rovinare una bella sceneggiatura, ma non può fare un film di
successo da una scadente, se non può mettervi mano. Certe sceneggiature sono,
diceva Elvio suscitando la mia ilarità, semplicemente sbagliate, e l’unico modo
di metterle a posto è di riscriverle daccapo, sul retro, dove il foglio è
ancora bianco. Sono perfettamente d’accordo. E sono spesso sorpreso nel vedere
grandi produzioni, film per cui si sono spesi milioni, che hanno una
sceneggiatura scadente.
E’ per questo che sempre più di frequente i film o
le serie di successo sono prese da libri di scrittori affermati: perché questi sono
stati capaci, appunto, di creare storie e personaggi straordinari. Un giorno
ebbi uno scambio di opinioni con un ragazzo che non conoscevo, ad una cena con
altri amici. Sosteneva che è il regista che dà l’anima ad una storia, ad un film,
non lo scrittore. Non ero d’accordo, un film può avere un’anima solo se la
sceneggiatura sottostante ce l’ha. Altrimenti farci il film è un esercizio vano
ed inutile. E’ lo scrittore che dà l’anima ad una storia, per quello che
intuisco possa voler dire, per una storia, avere un’anima. I bravi registi sono
capaci di 1) riconoscerla, una buona storia e/o 2) saperla adattare, cambiare
se necessario, e raccontare in immagini con il massimo effetto.
E perché è così difficile scrivere una bella
storia? Perché una storia straordinaria è un cocktail di molte cose, ben
dosate, che si aiutano l’una con l’altra e si intrecciano ed armonizzano
continuamente. Il plot, magari innescato da un fatto imprevisto, scatena la
reazione dei personaggi e questi ne determinano lo sviluppo in modo quasi
inappellabile, inevitabile, nel senso che non potrebbe essere diversamente. Un
personaggio con un certo carattere e determinate caratteristiche personali, derivanti
dal suo pregresso di vita, messo di fronte a certi fatti non potrebbe reagire
in modo diverso da come lo fa. Così è lui stesso a muovere la storia in avanti,
e ciò si intreccia in modo inestricabile con altri accadimenti imprevisti ma
anche con le azioni, anch’esse “inevitabili”, di altri personaggi, fino alla
fine. Come dice Lajos Egri nel suo famoso saggio The Art of Dramatic Writing – lettura obbligata per qualsiasi
aspirante sceneggiatore o scrittore – sono i personaggi che creano la storia e
non viceversa: le azioni dei personaggi e lo sviluppo della storia si muovo
all’unisono, dipendenti gli uni dall’altra.
Una bella storia si snoda in modo quasi
inevitabile, come lo sono i bei finali. Un bel finale è un finale non solo
credibile, ma anche inevitabile. Il film o il romanzo non poteva, date le
premesse, chiudere in un modo diverso. Non importa che sia triste o a lieto
fine. E’ soddisfacente quando, date le premesse di cui siamo stati testimoni,
non poteva esserci altra conclusione possibile.
Ricordate il finale di Thelma & Louise? Assolutamente
tragico, ma inevitabile, e per questo liberatorio. Nessuno potrebbe immaginare le
due belle eroine finire in carcere per il resto dei loro giorni, la loro scelta
di continuare la corsa è l’unica possibile. Ciò che ha reso questo finale epico
e indimenticabile è stata proprio la sua inevitabilità.
I personaggi devono essere non solo interessanti, ma
in qualche modo diversi, unici. E debbono piacerci, condizione necessaria
affinché possiamo identificarci con loro ed avere curiosità sulla loro sorte. Dobbiamo
vederli nei loro pregi e nelle loro debolezze e manchevolezze, come siamo tutti
noi. Possono essere dei criminali incalliti, ma devono mostrare un luogo magari
recondito della loro anima che è bello, degno, nobile. Allora li perdoniamo,
abbiamo pietà di loro, e parteggiamo per loro. Come Don Corleone ne Il Padrino: in quella famiglia sono
tutti delinquenti della peggiore razza, ma Vito Corleone non cede alle lusinghe
di Sollozzo che gli propone di aiutarlo nello smercio della droga, perché la
droga fa male ai giovani. E questo a lui non piace. Gli eventi successivi
scaturiscono proprio da questo episodio.
E’ ormai finito da anni il tempo dei soli buoni
senza macchia e dei cattivi al 100%. I protagonisti e gli altri personaggi devono
essere tridimensionali, devono essere veri. Persino nel primo James Bond
interpretato da Daniel Craig gli sceneggiatori hanno dovuto, per la prima
volta, rendere 007 più umano e farlo innamorare. Cosa mai accaduta in tutti i
film alteriori, i cui ultimi fotogrammi erano la classica scena di Bond che
amoreggiava con la tipa di turno, e che era prontamente soppiantata da un’altra
bellona nel film successivo.
I personaggi dei film sono come noi. Le loro
reazioni agli eventi devono seguire il loro percorso emotivo e i loro comportamenti
non devono essere mai “strappati”: non deve mai “suonarci strano” che facciano
o dicano certe cose, non dobbiamo mai storcere il naso perché... “non è da
loro”.
I personaggi e il plot sono i pilastri che reggono
una bella storia, più della ambientazione e più dell’idea innovativa che ci
potrebbe essere dietro. Ci sono ancora molti altri ingredienti che uno
scrittore deve saper “usare”, e che costituisce il suo repertorio di strumenti,
ma certamente i personaggi ed il plot sono elementi essenziali.
di Francesco Z.
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